A cura di Vittoria De Nuzzo
Biella oggi sembrava un’altra città. Davvero un’altra. Non quella solita, un po’ chiusa e silenziosa che conosciamo nei giorni normali, ma una città viva, piena di energia, di voci, di colori.
Quando sono arrivata in centro, con il mio pass da “reporter per un giorno” e un’emozione enorme nello zaino, ho capito subito che non era un momento qualsiasi. Le vie si riempivano di passi e risate, i negozi avevano vetrine decorate di rosa, le bandiere sventolavano dai balconi, dove c’erano famiglie affacciate ad aspettare il passaggio.
C’erano bambini che correvano ovunque, adulti incuriositi, ciclisti appassionati con la bici al fianco e lo sguardo attento. Una vera festa dello sport… ma anche della comunità.
In mezzo a tutta questa gioia, non poteva che tornarmi in mente la storia che lega Biella al ciclismo. Anche se non ero ancora nata, tutti qui ricordano il 1999, quando Marco Pantani, il Pirata, affrontò la salita verso il Santuario di Oropa. Una tappa leggendaria: mentre era in fuga, la catena della sua bici cadde. Invece di arrendersi, Pantani si fermò, la rimise su da solo e ripartì. Quella rimonta, in una delle salite più simboliche del Giro, è rimasta nel cuore di tutti. Oropa, con il suo santuario secolare immerso nelle montagne, è diventata storia.
Ma dietro a tutta questa festa c’è un lavoro enorme. Ore e ore di preparativi, di coordinamento, di impegno da parte di centinaia di persone. Volontari per montare le strutture e operatori che lavorano silenziosamente per far sì che tutto funzioni alla perfezione.
Un esercito invisibile che muove ogni ingranaggio di questa grande macchina, con passione e orgoglio per far brillare Biella nel miglior modo possibile. L’ho vissuto in prima persona, sentendo quel respiro collettivo che rende ogni evento una vittoria di squadra.
E poi è successo qualcosa che non mi sarei mai aspettata: mi hanno chiamata sul palco.
Io, una studentessa, davanti a quella grande folla. È stato un momento breve, ma intenso. Ho sentito l’orgoglio, il calore, l’appartenenza. È in quegli istanti che capisci di far parte di qualcosa di più grande.
Come era avvenuto, poche settimane prima, anche in occasione dell’Adunata nazionale degli Alpini. Due eventi giganteschi in così poco tempo. Sembra quasi che questa città, da troppo tempo addormentata, abbia finalmente aperto gli occhi, sprigionando tutta la voglia di tornare a vivere davvero.
Infine, il momento più atteso: sono arrivati loro, i ciclisti. Sul palco sono saliti uno a uno, tra applausi, foto, selfie e interviste. Alcuni sembravano concentrati, altri più rilassati, ma tutti con il sorriso di chi sa che da lì a poco inizierà una nuova sfida. Il pubblico ascoltava, applaudiva, si emozionava. Guardandoli ho capito davvero cosa rende il ciclismo diverso da ogni altro sport: è popolare, vicino, umano. È strada, paesaggio, anima. È la gente che applaude anche l’ultimo, e non solo chi vince.
In mezzo alla folla ho visto anche persone arrivate da lontano: Sud America, Olanda, Giappone. Alcuni con le bandiere sulle spalle, altri con le lacrime agli occhi.
Tutti accomunati dalla stessa passione. E qui, tra le nostre montagne, sembravano a casa.
Come diciamo noi, in piemontese: “An Giro a fa fradel tuti: da Bièla a Buenos Aires.” (Il Giro rende fratelli tutti: da Biella a Buenos Aires.)
Oggi Biella ha corso, ha sognato, ha brillato.
E io, che l’ho sempre vista ferma, oggi l’ho vista volare.
A cura di Vittoria De Nuzzo, Istituto Eugenio Bona di Biella