A cura di Giorgio Imperiale
Questa mattina primaverile la Città Eterna si è svegliata pronta ad accogliere tra i suoi sacri marmi l’arcobaleno di colori del Giro D’Italia. Dopo la leggendaria tappa del Colle delle Finestre, che ha visto la classifica ribaltarsi ponendo Yates come favorito alla vittoria del Giro d’Italia, la gara di oggi sarà un tuffo nella storia e nella sacralità dell’Urbe.
La statica e monumentale storia si mescola alla dinamicità dell’agonismo dando vita ad un’atmosfera quasi sacrale. Questa tappa, di chiusura, lunga 143 km e costituita da otto giri, infatti si apre nel cuore della capitale con il trasferimento dalle Terme di Caracalla, luogo di ispirazione eterna e di svago per l’antica Roma volute dall’omonimo imperatore all’incirca nel 215d.C., alla partenza ai Giardini Vaticani, dove gli atleti hanno sfilato davanti al soglio pontificio come desiderato da Papa Francesco, per poi concludersi all’arrivo al Circo Massimo, simbolo di sport in altre epoche dove già al tempo dei romani il tifo si accendeva dei quattro colori delle fazioni e smuoveva gli animi.
All’arrivo dei ciclisti in Vaticano ad accoglierli è la benedizione e il breve ma significativo discorso del Pontefice in cui traspare una visione di Chiesa aperta verso i giovani e verso il futuro. Il trasferimento continua all’interno dei sacri giardini del Vaticano, un giardino che potremmo quasi definire multilingue per l’immensa varietà di piante provenienti da ogni angolo del globo quasi a simboleggiare l’universalità della Santa Sede.
La tappa continua su Lungotevere dove gli atleti intravedono l’Isola Tiberina, un luogo immerso nella storia, a partire dalla sua origine leggendaria: si racconta che si originò dal corpo dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, ma fu anche al centro della storia moderna quando, all’incirca nel 1944, fu rifugio per decine di ebrei che finsero di essere stati colpiti da una malattia contagiosissima per salvarsi dalla furia nazista.
I ciclisti si incamminano dunque lungo via Colombo, un luogo che ci accompagna verso la memoria un capitolo buio della nostra storia: quest’opera venne infatti costruita sotto al regime fascista per collegare Roma all’esposizione universale del 1942, mai svolta a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Dal bianco marmo dell’Eur la gara si sposta verso lo splendido blu del mare che con la sua atmosfera gioiosa e anticipatrice della quiete estiva accoglie gli atleti sul lungomare di Ostia che anch’esso, suo malgrado, non poté sfuggire all’intervento degli architetti razionalisti che, per permettere la costruzione del monumentale litorale di cui iconica è la stupenda Fontana dello Zodiaco, lo privarono delle baracche dei pescatori napoletani che costituivano la tradizione di quei luoghi.
Quale luogo migliore per finire questa tappa all’insegna del rapporto tra storia e sport se non il Circo Massimo: in questo luogo, dove un tempo a trionfare era il trottare delle bighe, oggi rimbomba il ticchettio delle catene dei velocipedi. Su questo podio che sa di sacro a trionfare è Olav Kooji, seguito da Kaden Groves e e infine chiudere il podio Matteo Moschetti.
Da questa tappa bisogna cogliere l’immenso insegnamento, già presente nella paideia degli antichi greci, che lo sport non si limita allo svago o al benessere fisico: infatti, può anche farci apprezzare di più le bellezze che ci circondano e spesso ignoriamo, soprattutto in una città colma di storia ed arte come Roma.
A cura di Giorgio Imperiale, Liceo Classico Istituto San Giuseppe De Merode