Dice la leggenda che Dio creò la Carnia, e si accorse di aver fatto cosa buona e giusta.
Però mancava ancora qualcosa. Allora creò lo Zoncolan, dal quale si può godere il miglior panorama su tutte queste zone, come fosse un piccolo centro del mondo.
Oggi però niente belvedere, lassù in cima il paesaggio è fatto di pioggerella, nebbia e freddo.
Resta comunque uno dei centri di questo Giro, la prima grande, vera, attesa, temutissima salita, il primo impietoso setaccio per tutti i contendenti alla Maglia Rosa.
Da Torino a Verona Bernal ha dimostrato di essere il più forte, ma finora si poteva ancora dire che l’arrivo di Ascoli fosse sì duro, ma non durissimo. Che a Rocca di Cambio si sia fatta la differenza solo nell’ultimo chilometro, e non è così che si vincono i Giri d’Italia. Che gli sterrati di Montalcino va bene, ma non sono queste le vere tappa di montagna.
Dopo oggi, invece, non si potrà più dire niente.
E’ sempre così nel ciclismo, che poi è solo una branca della vita: le salite sono allergiche alla finzione, obbligano gli umani a tirar fuori la verità.
Poco dopo la partenza da Cittadella scappano in undici: Andrii Ponomar (Androni-Sidermec), Jan Tratnik (Bahrain-Victorious), Rémy Rochas (Cofidis), Vincenzo Albanese e Lorenzo Fortunato (EOLO-Kometa), George Bennett e Edoardo Affini (Jumbo-Visma), Nelson Oliveira (Movistar), Bauke Mollema e Jacopo Mosca (Trek-Segafredo), Alessandro Covi (UAE Team Emirates)
Dietro di loro controlla l’Astana di Vlasov, un po’ perché in fuga c’è Bennet che in classifica ha 11’21’’ di ritardo, un po’ perché il loro giovane capitano, secondo in classifica generale, sembra star bene.
Dopo un momento di caos in cui il gruppo si fraziona per poi ricomporsi lungo la discesa del Gpm di Monte Rest, la tappa procede spedita verso l’inizio del Kaiser, che oggi si salirà dal versante di Sutrio.