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    Il Mortirolo: una vocazione battagliera

    07/04/2022

    Le 10 salite più iconiche della Corsa Rosa: il Mortirolo

    Dopo lo Zoncolan, lo Stelvio, il Gavia, il Colle delle Finestre ed il Blockhaus, è ora il turno di affrontare il Mortirolo.

    Non perderti le altre salite! Scopri la sezione dedicata disponibile qui, dove per ognuna potrai trovare la storia, gli aneddoti e le statistiche più rilevanti.

    Una vocazione battagliera

    Grazie alla sua posizione strategica tra la val Camonica e la Valtellina, il Passo del Mortirolo è un luogo di battaglie da molto prima del 3 giugno 1990, quando fece la sua apparizione al Giro d’Italia.
    Leggenda vuole infatti che il nome derivi da un cruento combattimento avvenuto lassù nel 773 d.c., quando Carlo Magno si scontrò con le truppe longobarde già reduci dalla sconfitta di Pavia.
    L’esercito carolingio li inseguì e dopo averli scovati nei pressi del valico li sbaragliò lasciando sul terreno centinaia di morti. Da qui “Mortarolo”, divenuto poi nei secoli “Mortirolo”.
    Ma questa, si diceva, è una leggenda.
    La realtà è che il toponimo viene probabilmente dalle parole “mortèra” o “mortarium” che descriverebbero la presenza di uno stagno o la forma concava che si trova in cima al passo.
    Ciò che invece non è leggenda sono gli scontri che ci furono tra il febbraio e il maggio del 1945 fra i partigiani e nazifascisti, ritenuti dai diversi storici come le più grandi battaglie campali sostenute dalla Resistenza italiana.
    Arriviamo quindi ai giorni nostri, a quel 3 giugno 1990 che diede inizio alla storia ciclistica della salita.
    Quel giorno si scalava il versante di Edolo e il primo a transitare in cima fu il venezuelano Leonardo Sierra, che conquistò anche la tappa che prevedeva l’arrivo ad
    Il Mortirolo parve da subito cosa buona e giusta, perché venne riproposto già l’anno successivo, stavolta da Mazzo, dal versante valtellinese che divenne poi la via “classica”: 12,5 km al 10,5% di pendenza media, con punte al 20%.
    Fanno così alcune salite.
    Fino al giorno prima sono solo strade sconosciute perse chissà dove, e una volta percorse stregano immediatamente organizzatori, corridori e soprattutto tifosi: così è stato col il Muro di Sormano, così pure con lo Zoncolan.
    Poi venne il ’94, l’anno della definitiva consacrazione del Mortirolo e di Marco Pantani: due storie più che parallele, quasi gemelle.
    Il 5 giugno si correva la Merano-Aprica, con in programma nell’ordine Stelvio, Mortirolo e Santa Cristina.
    Il Pirata, allora solo ventiquattrenne, attaccò approfittando delle terribili pendenze della seconda salita, ad oltre 60 km dal traguardo.
    Staccò Indurain, Bugno, Chiappucci e la Maglia Rosa Berzin transitando solitario in vetta, attese Indurain nel tratto di pianura prima dell’ultima ascesa dove scattò nuovamente, stavolta in modo definitivo, andandosi a prendere la vittoria di tappa e il secondo posto in classifica generale.
    Per ricordare quell’impresa nel 2006 è stata posta una scultura, all’ottavo chilometro del Mortirolo.
    Raffigura Pantani nel momento di uno dei suoi scatti, con le sue solite mani basse sul manubrio, la testa voltata a scrutare gli avversari.
    Guarda indietro e ciò che vede sono facce di avversari sconfitti.
    A ricordarci che quel giorno – in un luogo da oltre mille anni teatro di grandi battaglie – il Pirata ha trovato molto più di una vittoria: ha trovato una vocazione, un destino, ha trovato sé stesso.

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