Se pensi alla Bergamo ciclistica, pensi a Felice Gimondi. E provate ad immaginare un fuoriclasse come lui, uno dei pochi ad aver messo d’accordo tutti gli italiani, che vince una tappa a casa sua, davanti al suo pubblico totalmente in delirio. È successo nel 1976 e il romanticismo vuole che quello sia stato l’ultimo successo alla Corsa Rosa, il terzultimo della carriera, del grande Felice, che due giorni si sarebbe portato a casa il suo terzo Giro d’Italia.
Ma tutto quel Giro fu per cuori forti, perché Gimondi, 34 anni, non partiva tra i favoritissimi, lui stesso si definiva sul viale del tramonto, e diversi addetti ai lavori lo etichettavano ormai come un “vecchietto”. Invece a Lago Laceno strappò la Maglia Rosa ad un giovane Francesco Moser, la tenne per 11 giorni dopo aver resistito strenuamente agli attacchi avversari, e la cedette a Johan De Muynck solo nella tappa 19 con arrivo alle Torri del Vajolet, nel giorno in cui tutti prevedevano un suo crollo.
Gimondi, invece, rimase assolutamente a galla e due giorni dopo vinse nella sua Bergamo allo sprint, anticipando il vecchio rivale Eddy Merckx (lui sì, sul viale del tramonto) e Gianbattista Baronchelli. “Quella di Bergamo è stata una delle mie più belle vittorie, tra le prime cinque in assoluto – ha detto Gimondi qualche anno dopo – Ma ci pensate? Primo nella mia città, davanti alla mia gente!”.
Galvanizzato, il giorno dopo, nella cronometro di Arcore che precedeva la passerella finale di Milano, trovò la forza per andare a riprendersi la Maglia Rosa, beffando De Muynck per appena 19 secondi. Il Giro d’Italia 1976 era di Gimondi, 9 anni dopo il primo trionfo.