Quando Platone, nel Simposio, racconta che Eros (Amore, Desiderio) fosse figlio di Penìa (Mancanza, Povertà), è difficile pensare che avesse in testa la stagione ciclistica 2020: eppure, gara dopo gara, sembra descriverla perfettamente.
Questa Milano-Sanremo arriva quasi 300 giorni dopo l’ultima Classica Monumento, il Lombardia dell’anno scorso.
Dieci mesi di mancanza che alimentano l’attesa, moltiplicano il sogno, caricano la molla del desiderio.
A questa Milano Sanremo il mare spunta all’orizzonte come un miraggio esotico quando mancano solo 35 chilometri all’arrivo, quando ne sono già stati macinati 270 tra pianura, colline e valichi appenninici, quando ormai quasi nessuno se l’aspettava più.
Tutti, invece, si aspettavano l’attacco di Alaphilippe sul Poggio.
Se l’aspettavano Nibali e Kwiatkowski, Matthews e Sagan, ma solo Van Aert lo desiderava abbastanza.
Abbastanza da rispondere allo scatto, abbastanza da raggiungerlo nei tornanti in discesa che sembrano ognuno un trampolino sul mar ligure, abbastanza da tirare nella (poca) pianura restante.