Un itinerario attraverso il territorio del Parmigiano Reggiano, l’eccellenza italiana a cui è dedicata la Food Stage del Giro d’Italia.

All’alba di mercoledì 18 maggio, mentre Richard Carapaz e Vincenzo Nibali si preparano per il via della tappa numero 11 del Giro d’Italia, più di duemila persone sono già al lavoro nelle sale di mungitura delle aziende agricole. Entro due ore, il latte viene distribuito in oltre 300 caseifici, dove arriva ancora caldo, pronto per essere lavorato insieme al caglio e al sale, come avviene da quasi mille anni. Intanto i ciclisti affrontano il percorso da Sant’Arcangelo di Romagna a Reggio Emilia, la prima Food Stage nella storia della Corsa Rosa, nata per celebrare il legame indissolubile tra il Parmigiano Reggiano e la sua terra, certificato dal sigillo DOP (Denominazione di Origine Protetta). La sera, quando i campioni sono già scesi dalle bici e i riflettori si sono spenti, 10mila nuove forme di Parmigiano Reggiano sono state prodotte e messe a riposare, prima di essere immerse nella soluzione di acqua e sale che precede la fase di stagionatura.

È un rito che segue regole messe nero su bianco in un rigido Disciplinare: solo latte crudo, nessun additivo o conservante, né batteri selezionati in laboratorio. E si ripete ogni giorno in questo territorio compreso tra le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova alla destra del fiume Po e Bologna alla sinistra del fiume Reno. In nessun altro posto al mondo, anche impiegando le stesse tecniche produttive e rispettando le medesime tradizioni, è possibile ottenere questo formaggio a pasta dura antico e ricchissimo, perfetto per l’alimentazione degli sportivi. Le bovine allevate tra queste terre, infatti, vengono alimentate solo in modo naturale, con foraggi coltivati prevalentemente nella zona di origine. Molti di questi derivano da prati stabili, cioè campi che si autorigenerano e non vengono arati mai, a volte da secoli. Il risultato? I foraggi contengono anche 60-70 varietà differenti di erbe, che passano dalla mangiatoia al latte e al formaggio: a seconda del mix microbiologico, dunque, ogni forma assume sapori e aromi sempre differenti. Il Parmigiano Reggiano è dunque un prodotto unico, ma mai uguale a se stesso: al contrario, la diversità è una delle sue caratteristiche regine.

Dal 2013, per esempio, esiste un Parmigiano Reggiano “Prodotto di Montagna” con un suo marchio specifico: dall’alta quota proviene il 100 per cento del latte e almeno il 60 per cento dell’alimentazione delle vacche. Ma le ragioni di questa ricchezza sono anche altre. La diversa sensibilità dei casari, per esempio, ma pure la stagionatura, potenzialmente molto lunga. Il formaggio, infatti, ‘nasce’ in caseificio ma diventa Parmigiano Reggiano solo a 12  mesi, quando un esperto battitore del Consorzio certifica la qualità delle sue forme, imprimendo il prezioso marchio Parmigiano Reggiano. Ma può continuare a ‘crescere’ a lungo, assumendo sentori diversi. Così, se il formaggio con 12-19 mesi di stagionatura (Delicato) ha un sentore delicato di latte fresco, yogurt e burro, quello di 20-26 mesi (Armonico), più friabile e granuloso, possiede anche note di frutta fresca, come banana e ananas. E ancora, il Parmigiano Reggiano stagionato per 27-34 mesi (Aromatico) presenta sentori di frutta fresca e un aroma di brodo di carne e spezie, mentre quello di 35-45 mesi (Intenso) vanta sentori di spezie e affumicato ancora più decisi.

E le bovine? Pure loro contribuiscono alla diversità del Parmigiano Reggiano, che si affida a ben quattro razze diverse. Paese che vai, vacca che trovi, dunque, anche in un territorio tutto sommato ristretto come quello attraversato da questa Food Stage. Un po’ ovunque è presente la frisona italiana, una razza molto produttiva, arrivata in Italia alla fine dell’Ottocento dalla regione della Frisia, in Olanda. Al passaggio di Carpi risuonano i campanacci della vacca bianca modenese, presidio Slow Food il cui latte, grazie al rapporto ottimale tra tenore di grasso e proteine e all’elevata concentrazione del fattor k delle caseine, è perfetto per la caseificazione. Intorno al traguardo di Reggio Emilia è il regno della vacca rossa reggiana, dal latte ricchissimo di proteine, calcio e fosforo: una manna per i casari, perché coagula rapidamente, possiede una cagliata consistente ed elastica, un siero limpido e una panna che affiora perfettamente. Più ricco di grasso e dall’alto profilo caseinico, invece, il latte dalla vacca bruna, che se ne sta docile nel Parmense. L’avreste mai detto che dietro ogni scaglia si nasconde un mondo così vasto?