“La polvere del Mondo” è un classico della letteratura del ‘900, e racconta il viaggio di due ragazzi dalla Svizzera all’Oriente attraverso i Balcani, l’Anatolia e la Persia; un viaggio alla scoperta dell’ignoto, alla scoperta di se stessi.
Anche la tappa di oggi racconta la storia di due ragazzi, due giovani corridori che negli sterrati verso Montalcino hanno scoperto qualcosa in più su loro stessi e sul proseguo del loro Giro d’Italia.
La Perugia-Montalcino era attesa da tutti e temuta da molti, non tanto per i 2400 metri di dislivello, nè per i 162 km di lunghezza – poca roba, a questi livelli.
Quello che spaventava erano i quattro settori di strade bianche, 35 km spettacolari quanto infidi, emozionanti quanto indecifrabili, e tutti raccolti nel finale.
Come parte la tappa scattano in diversi, prima cinque, poi due, poi altri quattro.
Dapprima il gruppo si allunga in fila indiana uscendo da Perugia, sembra una nuova giornata di lotta tra gli attaccanti e il plotone, un altro braccio di ferro che alza la media oraria e ingolfa le gambe.
Poi all’improvviso dietro si quietano, calano il ritmo e lo stress, i corridori si allargano su tutta la carreggiata con un linguaggio del corpo che sta universalmente a significare che ok, la fuga può andare.
E davanti vanno.
Sono in 11: Lawrence Naesen (AG2R Citroën), Dries De Bondt (Alpecin-Fenix), Enrico Battaglin (Bardiani-CSF-Faizanè), Francesco Gavazzi (EOLO-Kometa), Simon Guglielmi (Groupama-FDJ), Taco van der Hoorn (Intermarché-Wanty-Gobert), Harm Vanhoucke, Roger Kluge (Lotto Soudal), Bert-Jan Lindeman, Mauro Schmid (Qhubeka-Assos) e Alessandro Covi (UAE Team Emirates).
Si danno cambi regolari procedendo in doppia fila come fossero una squadra sola, anche se poi sono di nove formazioni diverse.
Guadagnano 2’ dopo 10 km, 4’30’’ dopo 15, 5’30’’ dopo 20, 7’30’’ dopo 30.
Dopo 40 km hanno 10’ di vantaggio.
Dietro non si dannano l’anima.
Ai primi della classifica generale può far comodo che siano altri a giocarsi tappa e relativi secondi di abbuono, togliendo a loro almeno uno dei fattori di stress in questa tappa che insidiosa per un’infinità di motivi.
Per i primi 90 km non c’è molto da respirare se non attesa, e la fuga arriva a guadagnare fino a 14’35’’.
Il gruppo si avvicina al primo settore di sterrato con i treni dei big schierati uno affianco all’altro.
Dapprima prevale una specie di cauta inquietudine, come se un granello di timore si fosse già depositato sulla corsa prima ancora di entrare nello sterrato, come fossero tutti attratti da una forza alla quale preferirebbero però sottrarsi – come dev’essere avanzato Ulisse verso le sirene, o verso le Colonne d’Ercole.
Poi la realtà agonistica vince sul timore e la velocità cresce sempre di più, si tira come per lanciare una volata, la Ineos con Ganna prende il comando delle operazioni e a quel punto, a 70 km dalla fine, la polvere del Giro arriva davvero.
Avvolge tutto e tutti, ma un po’ di meno chi sta davanti e un po’ di più chi sta dietro.
Tra questi, si registra fin da subito il secondo in classifica, Remco Evenepoel.